di Alessio Colletti
Le origini e l’ascesa della mafia condensate in pochi paragrafi
Tutti conoscono il significato della parola “mafia” ma in pochi sono al corrente delle fasi e degli episodi salienti che ne hanno permesso la formazione e lo sviluppo. Le origini della mafia vanno collocate nella Sicilia dei grandi proprietari terrieri.
Siamo in pieno Ottocento. I latifondisti dell’isola hanno l’abitudine di affittare i loro vasti possedimenti ai cosiddetti gabellotti (la gabella è il corrispettivo versato al nobile), una classe sociale di medio livello che riesce a crescere esponenzialmente sino a diventare più influente degli stessi aristocratici. I gabellotti gestiscono i fondi con rigore e edificano un sistema di potere efficiente e dispotico. Hanno l’abitudine di girare armati, si circondano di personaggi ad essi fedeli, sono intransigenti coi contadini e, soprattutto, maturano la capacità di trasferire i propri status ai familiari più vicini con il deliberato intento di perpetuare gli apparati di comando. L’affermazione delle “corporazioni” dei gabellotti segna di fatto la nascita dei primi “mafiosi”. Altro fattore chiave che ne agevola l’ascesa è la debolezza dei poteri centrali che si succedono in Sicilia. Le autorità statali che guidano l’isola, da ultime quelle post-unificazione, si contraddistinguono per scarsa incisività e lontananza dai bisogni dei cittadini, favorendo così il rafforzamento dei signorotti.
La Treccani indica che la parola “mafia” compare per la prima volta nel 1863 nella commedia teatrale degli autori Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca dal titolo “I mafiusi de la Vicaria”, altre fonti riferiscono però che questo lemma viene già adoperato almeno una trentina di anni prima in un rapporto del procuratore della città di Trapani. In ogni caso, con il termine “mafiusu” si allude principalmente a una persona capace di farsi giustizia da sé senza l’intervento dello Stato. Nel 1876, un’inchiesta parlamentare denuncia i metodi violenti con cui i clan controllano i territori; appena qualche anno più tardi il questore di Palermo Ermanno Sangiorgi offre una prima descrizione particolareggiata dell’organizzazione mafiosa, illustrando la divisione in cosche, la strutturazione gerarchica, le attività illecite e la volontà di creare una connessione con politica e imprese.
La mafia nel Novecento
Nel corso dei primi anni del Novecento la mafia percepisce l’intensificazione dei flussi migratori verso le Americhe come la preziosa opportunità di allargare il giro degli affari e conseguire ulteriore potere. Le cosche mafiose subiscono un significativo ridimensionamento nel ventennio fascista con il prefetto Cesare Mori. Il regime, infatti, non tollera organismi collaterali a quelli statali. Con la fine della seconda guerra mondiale, la mafia riacquista lentamente il proprio ruolo e si distingue sempre più come forza antistatale e anticomunista. In particolare, concentra le sue attenzioni sulle amministrazioni pubbliche locali attraverso l’infiltrazione di uomini di fiducia. Nel 1947 si consuma la tragica strage di Portella della Ginestra. Un gruppo di contadini, riunitisi per celebrare il Primo Maggio, viene attaccato dal bandito Giuliano e dai suoi fedelissimi: il bilancio è di 14 morti e 27 feriti. Ci si è interrogati a lungo sull’affiliazione criminale di Salvatore Giuliano, oggi molti storici credono che il fuorilegge fosse uno stretto alleato dei clan mafiosi più importanti.
Criminalità organizzata: dal Boom economico ad oggi
Negli anni del boom economico, la mafia inizia a spostare le sue attenzioni sulle città per sfruttare appalti pubblici e spaccio di stupefacenti. E’ il periodo in cui la criminalità esce dai suoi confini tradizionali per guadagnarsi una dimensione più internazionale. L’ascesa del clan dei Corleonesi segna l’inizio della fase più tragica e, ovviamente, questo breve articolo non può avere alcuna ambizione di esaustività nella descrizione degli eventi che si susseguono dagli anni ’70 agli arresti di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Come spiegato bene dal magistrato Giuseppe Pignatone, l’elemento di maggior novità introdotto dalla dolorosa stagione corleonese è costituito dalla sfida diretta allo Stato. Il comportamento consuetudinario della mafia segue un iter strategico fondato su una convivenza più o meno pacifica con le istituzioni. Solo così è possibile creare quel contesto ideale per la sistematica espansione del proprio business. I Corleonesi infrangono questo paradigma, rivendicando un ruolo di supremazia sullo Stato. Si arriva così a un’impressionante scia di delitti con l’uccisione di innumerevoli cittadini e figure apicali come Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino. Troppe questioni di quel periodo rimangono ancora oscure, prima fra tutte i rapporti fra Cosa Nostra e la politica. Con la fine dei Corleonesi la mafia cambia strategia. Rifiuta lo scontro diretto con lo Stato perché troppo rumore attira troppe attenzioni. Il nuovo corso predilige l’infiltrazione nelle istituzioni e l’alleanza con settori del mondo finanziario per un controllo più diretto della società e una gestione più efficace dei propri affari illeciti. Lo stesso Roberto Saviano è solito ricordare che la mafia, intesa in senso lato, “è oggi la prima economia del Paese”.
Se fino a qualche decennio fa la parola “mafia” era il sinonimo diretto di “Cosa Nostra”, oggi questo vocabolo si utilizza per indicare tutte le criminalità organizzate del mondo, compreso la ‘Ndrangheta. Proprio la ‘Ndrangheta è ormai considerata l’organizzazione criminale più potente e, come rivelato dal magistrato Nicola Gratteri, anche quella con il più basso numero di collaboratori di giustizia. Un elemento tutt’altro che secondario.
Leggi anche: Chi sono le mafie? Nel XXI ancora minacce di morte: La Vardera preso di mira per la spiaggia di Mondello
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