di Massimo Gervasi
Il nuovo contratto del comparto sanitario pubblico non copre l’inflazione, svilisce le professioni e ignora la sanità privata. Una toppa su un sistema al collasso.
Un aumento che sa di beffa. Dopo anni di attese e promesse, il rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale della Sanità Pubblica 2022–2024, firmato il 27 ottobre da CISL, FIALS, NURSIND e NURSING UP (ma non da CGIL e UIL), porta in busta paga appena 170 euro lordi medi, comprensivi persino dell’indennità di vacanza contrattuale già percepita negli anni scorsi.
Un aumento che non copre nemmeno un terzo dell’inflazione registrata dal 2021 a oggi, pari a circa +16%, mentre i salari crescono solo del 5,7%, con una perdita reale del potere d’acquisto del 10%.
Mai, nella storia dei rinnovi contrattuali della sanità, si era visto un adeguamento così distante dal costo della vita. Anche quando gli aumenti erano di 50 euro, almeno superavano il tasso d’inflazione. Stavolta no: il risultato è un contratto che mortifica chi garantisce la salute dei cittadini e indebolisce ulteriormente un sistema già in affanno.
“Un placebo salariale”: aumenti frammentati e stipendi che non reggono il passo
Gli aumenti, infatti, sono frammentati e parzialmente composti da voci non strutturali, legate a straordinari, prestazioni aggiuntive e indennità temporanee. Una strategia che confonde i lavoratori e gonfia i numeri a fini propagandistici, come denuncia la UIL FPL, tra le sigle che hanno rifiutato di firmare il contratto.
“Mentre il costo della vita è aumentato del 16%, i salari crescono solo del 5,7%. Il personale della sanità pubblica perde 172 euro al mese rispetto al proprio potere d’acquisto. Non c’è valorizzazione professionale, né riconoscimento reale del ruolo svolto”, afferma il sindacato in una nota.
La UIL sottolinea anche la mancanza di risorse per la crescita professionale e la permanenza di vincoli su assunzioni e salario accessorio, che bloccano i percorsi di carriera e lasciano gli ospedali in cronica carenza di personale.
Turni infiniti, burnout e fuga all’estero: la realtà dietro le cifre
Infermieri, OSS, ostetriche e tecnici lavorano da anni con turni infiniti e reparti sotto organico. Il risultato è la fuga di migliaia di professionisti verso l’estero, dove stipendi e condizioni sono incomparabili.
Con 172 euro in più, il Governo pensa forse di comprare entusiasmo e competenze, ma la verità è che questa cifra non copre nemmeno il rincaro medio di bollette e carburante degli ultimi mesi.
> “Se la salute pubblica non è una priorità reale, allora è tempo che gli elettori lo sappiano – scrive un rappresentante sindacale – e che giudichino chi in Parlamento preferisce la foto al provvedimento serio.”
La sanità privata: la grande dimenticata
Ancora più grave è il silenzio totale sulla sanità privata convenzionata, che assorbe una parte rilevante dei servizi pubblici e impiega migliaia di professionisti.
Operatori che svolgono le stesse mansioni e con le stesse competenze, ma percepiscono stipendi più bassi e godono di tutele ridotte. Una disparità inaccettabile, che crea un sistema sanitario a due velocità: operatori di serie A e serie B, divisi solo dalla tipologia di datore di lavoro.
Uniformare i diritti e le retribuzioni tra pubblico e privato dovrebbe essere una priorità nazionale, se davvero si vuole garantire equità e qualità dell’assistenza sanitaria.
“Non chiedete a noi perché non lo abbiamo firmato”
Le sigle non firmatarie, come CGIL e UIL, respingono con forza la narrazione trionfale di chi rivendica il contratto come “storico”.
“Non chiedete a noi perché non lo abbiamo firmato – si legge in un comunicato – ma a chi ha scelto di farlo. Il nostro compito è difendere lavoratori e lavoratrici, non fare da megafono politico.”
Un sistema da rifondare
La sanità italiana, pubblica e privata, non ha bisogno di elemosine contrattuali ma di una riforma strutturale:
- aumenti tabellari veri e indicizzati (almeno 500€ netti mensili per 13 mensilità);
- un piano straordinario di assunzioni;
- percorsi di carriera reali e formazione continua;
- tutele contro il burnout e le aggressioni sul lavoro.
Senza questi interventi, ogni rinnovo resta un placebo: un numero utile ai comunicati stampa, ma inutile a chi ogni giorno garantisce la salute degli italiani.
Chi cura l’Italia non può vivere di contentini. La politica deve smettere di usare la sanità come vetrina e ricordarsi che senza infermieri, OSS e medici non ci sono ospedali, non ci sono cure, non c’è Paese.
E la sanità privata, che continua a essere trattata come un settore di serie B, non può restare l’ultima ruota del carro: il diritto alla salute è uno solo, e deve valere per chi lo riceve e per chi lo garantisce.
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