di Alessio Colletti
Non solo Gaza e Ucraina, nel mondo sono in corso numerosi conflitti, spesso solo appena accennati dai media.
Breve carta d’identità del Sudan
Fra le numerose guerre in atto, una fra le più sanguinose è la guerra civile in Sudan. Il Sudan è il terzo Paese africano per estensione, ha per capitale Khartoum e conta 50 milioni di abitanti. Dominato a lungo da Regno Unito ed Egitto, ottiene l’indipendenza nel 1956. Nell’89 il generale Omar al-Bashir prende il potere conservandolo con il pugno di ferro per trent’anni. Fra le pagine più nere del suo regime emergono la violenta repressione dei ribelli del sud del Paese, culminata nella secessione del Sud Sudan del 2011, e la pulizia etnica contro le minoranze non arabe del Darfur. Nel 2019 una lunga sequela di manifestazioni popolari, frutto dell’esasperazione per caro-vita e corruzione, invoca riforme democratiche e conduce alla deposizione di al-Bashir. Si apre così una stagione di disordini e instabilità sfociata nell’attuale guerra civile e nella contrapposizione di due uomini forti dell’esercito. Il primo è il generale Abdel Fattah al-Burhan, sostenuto dall’establishment del vecchio apparato, il secondo è Mohamed Hamdan Degalo, più noto come Hemedti, a capo di formazioni paramilitari e responsabile delle stragi in Darfur.
Il Sudan occupa una posizione strategica non indifferente visto il controllo di una frazione del mar Rosso ed è un grande esportatore di pelli animali. Le sue riserve di petrolio sono buone ma hanno subito un notevole ridimensionamento dopo l’indipendenza del Sud Sudan, dove si concentrano le maggiori disponibilità di idrocarburi. La principale ricchezza del territorio è costituita dall’oro. Il Sudan figura fra i maggiori produttori del metallo prezioso per antonomasia e questo scatena gli appetiti delle potenze straniere.
I costi della guerra civile
Difficile fare una stima attendibile del numero di vittime dopo due anni e mezzo di combattimenti. Le fonti forniscono dati divergenti, con un diplomatico americano che ha ipotizzato 150 mila morti. Sono invece milioni gli sfollati, visto che si tratta principalmente di una guerra urbana combattuta fra le Forze armate ufficiali (SAF), guidate da al-Burhan e le Rapid Support Forces (RSF), le milizie fedeli a Hemedti. Violenti scontri e pesanti raid si registrano a Khartoum e nei principali centri del Paese, mentre in Darfur sono riprese le violenze degli uomini delle RSF, come dimostrato dai recenti e tragici fatti della città di Al-Fashir.
Potenze coinvolte e previsioni sul futuro
Le potenze che guardano con attenzione al conflitto sudanese sono soprattutto Egitto, Emirati Arabi Uniti e Russia.
L’Egitto ha sempre avuto uno stretto rapporto con Khartoum, fondamentalmente per via della contiguità geografica ma anche per le tensioni con l’Etiopia relative alla gestione del Nilo che fanno percepire il Sudan come un prezioso alleato. L’Egitto sta supportando le forze di al-Buhran nella speranza che il Paese ritrovi la stabilità perduta. Altra potenza straniera coinvolta sono gli Emirati Arabi Uniti. Pur avendo ufficialmente negato qualsiasi partecipazione, non ci sono dubbi sul ruolo di Abu Dhabi e sul suo appoggio alle formazioni di Hemedti. Gli UAE vogliono allargare la loro influenza nel Corno d’Africa, assicurarsi la connessione con il Ciad attraverso il Darfur, regione soggetta al potere delle Rapid Support Forces, e soprattutto, assicurarsi l’accesso ai pregiati giacimenti auriferi. Gli UAE stanno perseguendo una politica di diversificazione economica finalizzata a ridurre la dipendenza dal petrolio: il mercato aurifero assume allora un’importanza primaria e alcuni analisti hanno addirittura ipotizzato che Dubai sia la destinazione finale, non solo dell’oro gestito dalle RSF, ma anche di quello dei loro antagonisti delle SAF. La Russia, invece, sembra non avere preferenze particolari fra uno schieramento o l’altro ma sarebbe in trattativa con le SAF, saldamente al comando a Port Sudan il principale porto del Paese, per l’installazione di una base navale sul mar Rosso.
E’ azzardato fare previsioni sui futuri sviluppi, ma dal momento che le forze di al-Burhan vantano un controllo persistente delle aree orientali e Hemedti è riuscito a fare altrettanto nella regione occidentale, non si può escludere che il Paese, dopo la secessione del sud Sudan, debba rassegnarsi ad un’ulteriore frammentazione e disgregazione politica e nazionale.
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