Voci dalla Russia che vive in Italia, tra pace, propaganda e paura del futuro.

Pubblicato il 22 dicembre 2025 alle ore 07:00

Intervista a cura di Massimo Gervasi

Dopo quasi tre anni di guerra, il conflitto tra Russia e Ucraina continua a produrre vittime, distruzione e tensioni internazionali. Gli attacchi quotidiani, in particolare tramite droni, non si fermano. I negoziati di pace coinvolgono Unione Europea e Stati Uniti, ma restano bloccati su nodi cruciali: territori, garanzie di sicurezza, uso degli asset russi congelati.
In questo scenario, il dibattito pubblico europeo, e italiano in particolare, appare sempre più polarizzato. Ma cosa pensano davvero i cittadini russi, soprattutto quelli che vivono in Europa, lontani dalla propaganda interna ma ancora legati culturalmente e affettivamente al proprio Paese?
Per provare a capirlo, ho intervistato alcuni cittadini russi residenti in Italia, ponendo loro otto domande dirette sul conflitto, sulla pace, sul ruolo dell’Europa e sull’informazione. Ne emerge un quadro complesso, spesso contraddittorio, ma profondamente umano.

Una guerra che nasce da lontano

Per alcuni intervistati, la guerra non può essere letta solo come un evento improvviso. Viene descritta come il risultato di un lungo processo geopolitico: l’allargamento della NATO verso Est, le promesse mancate del dopoguerra fredda, il caos degli anni post-sovietici, le privatizzazioni selvagge che hanno svenduto risorse strategiche russe alle grandi multinazionali occidentali.
Secondo questa visione, la Russia avrebbe vissuto prima una fase di estrema debolezza e poi, con l’avvento di Vladimir Putin, una stagione di rinascita economica e identitaria, accompagnata da un riavvicinamento all’Europa. Un equilibrio che, sempre secondo questi cittadini, sarebbe stato visto come una minaccia dall’egemonia statunitense, favorendo una rottura tra Russia ed Europa.
La guerra, in questa lettura, non viene giustificata come “giusta”, ma interpretata come il punto di rottura di un sistema internazionale incapace di includere la Russia in modo stabile e paritario.

Pace sì, ma a quale prezzo?

Su un punto, però, quasi tutti concordano: nessuno vuole una guerra infinita. Anche chi difende le ragioni geopolitiche russe riconosce la stanchezza della popolazione, il peso delle sanzioni, le migliaia di giovani morti al fronte.
Ma la pace, per molti, non può essere una resa umiliante. L’idea che una pace duratura debba tenere conto degli interessi di sicurezza russi è ricorrente, così come la convinzione che l’Ucraina avrebbe potuto, e forse potrebbe ancora, giocare un ruolo di paese neutrale, ponte economico tra Russia ed Europa, beneficiando della propria posizione strategica e delle sue risorse.
Altri intervistati, invece, esprimono una posizione opposta e durissima: parlano apertamente di aggressione russa immotivata, chiedono il ritiro completo delle truppe, il ritorno ai confini pre-2014, la restituzione della Crimea all’Ucraina, l’ammissione delle colpe da parte di Mosca e il pagamento dei danni di guerra. Solo dopo, secondo questa visione, potrebbe arrivare la rimozione totale delle sanzioni.
Due visioni inconciliabili, che convivono però nello stesso mondo russo.

L’Europa, l’Italia e il nodo della ricostruzione

I colloqui di pace in corso, come quelli di Berlino, vengono visti con interesse ma anche con sospetto. C’è chi ritiene che dietro la fermezza dei vari blocchi si nascondano enormi interessi economici legati alla futura ricostruzione delle aree distrutte: flussi di denaro, appalti, influenza geopolitica.
Una domanda rimane sospesa: se la Russia mantenesse il controllo su alcuni territori, chi li ricostruirebbe? Le aziende europee? Quelle russe? O i grandi colossi cinesi?
Quanto all’Italia, emerge la consapevolezza che il nostro Paese da solo conti poco, ma possa giocare un ruolo politico come mediatore credibile all’interno dell’Unione Europea, spingendo per soluzioni diplomatiche e non esclusivamente militari.
Informazione, censura e propaganda
Un tema cruciale riguarda l’informazione. Secondo gli intervistati, l’opinione pubblica italiana è fortemente influenzata da una narrazione “comoda”, semplificata, dove alcune voci vengono oscurate. Viene citato il caso di giornalisti italiani che, all’inizio del conflitto, hanno provato a raccontare anche il punto di vista russo, venendo rapidamente marginalizzati.
Allo stesso tempo, chi critica apertamente il Cremlino racconta una Russia sempre più isolata, con canali di informazione bloccati, censura crescente, social network limitati. Una popolazione che vive in una bolla informativa, con paura del giudizio internazionale e del futuro.

Paure e speranze comuni

Ed è forse qui che le distanze si accorciano. Al di là delle posizioni politiche, emerge una paura condivisa: l’isolamento, la colpa collettiva attribuita a un intero popolo, il rischio che anche dopo la fine della guerra i russi vengano guardati con sospetto, come se fossero tutti responsabili.
La speranza, invece, è semplice e universale: tornare a vivere, crescere i figli in sicurezza, riaffacciarsi al mondo senza muri, sanzioni e odio.

Capire non significa giustificare

Ascoltare queste voci non significa assolvere, né prendere posizione. Significa fare ciò che oggi manca sempre di più nel dibattito pubblico: capire la complessità, distinguere tra governi e popoli, tra propaganda e vissuto reale.
Perché senza comprensione non esiste pace e senza pace, continueremo solo a contare morti, da una parte e dall’altra. 

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