di Massimo Gervasi
Mentre le imprese italiane annaspano tra costi fissi, inflazione, accesso al credito sempre più ridotto e una burocrazia che strangola, il governo sceglie la strada più semplice: trasformare l’Agenzia Entrate Riscossione in un super-ente dotato di radar fiscali capaci di intercettare ogni movimento economico, fino all’ultima fattura.
La manovra 2026 introduce un meccanismo senza precedenti: l’utilizzo dei dati delle fatture elettroniche per attivare pignoramenti rapidi e chirurgici. Una sorta di “pistola fiscale” puntata contro chiunque abbia un ruolo aperto, anche minimo.
È il trionfo della riscossione automatica, senza contesto, senza ascolto, senza valutazione della reale situazione economica del contribuente.
Quando scatta un pignoramento dell’Agenzia Entrate Riscossione, il ricorso dell’azienda è quasi inutile. I tempi della giustizia tributaria sono troppo lunghi: mesi, spesso anni. Nel frattempo il pignoramento è già eseguito, i conti bloccati, la liquidità azzerata. Le sospensive vengono concesse raramente e comunque tardi.
Risultato: l’impresa può anche avere ragione, ma la ottiene quando è già stata messa in ginocchio.
Il diritto di difesa esiste sulla carta, ma nella pratica è una corsa a ostacoli persa in partenza.
Il paradosso politico è devastante:
– un governo che si presenta come difensore delle imprese,
– che dice di combattere l’oppressione fiscale e di voler ridurre lo Stato-sceriffo,
– nei fatti sta costruendo il sistema di controllo più aggressivo degli ultimi vent'anni.
Non una parola sulla flessibilità nei pagamenti.
Non una misura che premi chi investe e assume.
Nessuna semplificazione reale.
Solo una lunga serie di provvedimenti che trasformano l’imprenditore in un sorvegliato speciale, col timore costante che una fattura emessa possa diventare l’innesco per un pignoramento a cascata.
Il messaggio politico è chiaro: non ti aiutiamo a ripartire, ma se sembri vivo, ti pignoro.
Eppure la verità macroeconomica è lampante: se le aziende chiudono, lo Stato perde tutto. Se le aziende vivono, lo Stato incassa. Ma la manovra sembra concepita non per sostenere l'economia, bensì per spremere ciò che resta del tessuto produttivo prima che collassi definitivamente.
Perché di questo si tratta: un Paese dove il credito cala, gli investimenti stentano, la domanda interna è ferma, e l’unica strategia governativa è “recuperare” con pignoramenti più rapidi.
Una logica da amministratore di condominio, non da governo di una nazione industriale del G7.
Sarebbe forse il momento, nelle stanze romane, di ricordare una verità elementare:
le imprese non sono mucche da mungere fino all’ultima goccia, ma realtà che tengono in piedi lavoro, reddito e dignità dei territori.
La vera evasione si combatte con equità e innovazione, non con il terrore elettronico.
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