di Massimo Gervasi
In questi giorni, le piazze di Torino e di numerose altre città italiane si sono riempite di studenti in protesta, chiedendo riforme concrete e un maggiore impegno da parte delle istituzioni nel settore dell’istruzione.
Le richieste avanzate sono nette: aumentare la spesa per l’istruzione fino al 5% del PIL, garantire la gratuità dei libri di testo, ampliare la no tax area fino a 30.000 euro, creare nuovi alloggi universitari e introdurre sportelli psicologici in ogni scuola e ateneo.
Alle rivendicazioni scolastiche si aggiungono anche tematiche ambientali, la contrarietà al riarmo e un più ampio senso di responsabilità sociale che attraversa gran parte del mondo studentesco.
È altrettanto evidente che, in più contesti, la politica di opposizione provi a mettere lo zampino in queste manifestazioni, cercando di cavalcare il malcontento giovanile per ottenere visibilità e tornaconto politico. Una dinamica che rischia di spostare l’attenzione dal cuore del problema: il disagio reale e profondo di migliaia di studenti.
D’altra parte, il governo di maggioranza non può permettersi di restare in silenzio. È chiamato a dare risposte, a dialogare apertamente e seriamente con i giovani, perché confrontarsi con loro significa confrontarsi con il futuro stesso del Paese. Ignorare queste richieste non è solo un errore politico, ma un errore strategico che l’Italia potrebbe pagare caro.
Le manifestazioni di questi giorni sono un segnale forte: i giovani non chiedono privilegi, ma investimenti, diritti, opportunità. E ora la palla torna alla politica, che deve decidere se ascoltare o continuare a voltarsi dall’altra parte.
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