Assegnazione case popolari, prima gli stranieri: gli italiani restano in attesa

Pubblicato il 10 novembre 2025 alle ore 07:00

di Massimo Gervasi

A Torino torna ad accendersi la polemica sulle case popolari. Il caso è quello di una donna extracomunitaria alla quale è stato negato l’accesso a un alloggio pubblico dopo aver perso il lavoro poco prima dell’assegnazione. Una storia che, in superficie, sembra solo un cavillo burocratico, ma che in realtà riapre una ferita profonda: chi ha davvero diritto a una casa popolare in Italia?

L’assessore alle politiche sociali e alla casa della Regione Piemonte, Maurizio Marrone (Fratelli d’Italia), difende con forza la legge regionale che richiede agli stranieri una regolare attività lavorativa per poter accedere agli alloggi pubblici. “Non si tratta di discriminazione, spiega Marrone, ma di buon senso. Dobbiamo essere sicuri che chi entra in una casa popolare abbia un reddito stabile, che non viva di espedienti, e che sia davvero integrato nella nostra comunità.”

Una posizione netta, che però si scontra con la decisione del giudice che ha dato ragione alla donna, richiamando il principio costituzionale di uguaglianza tra cittadini italiani e stranieri regolari. Ma il nodo resta: in molte città, gli italiani continuano a scivolare in fondo alle graduatorie, mentre una parte significativa delle assegnazioni finisce a cittadini stranieri.

Solo a Torino, secondo i dati forniti dallo stesso Marrone, circa il 40% delle case popolari è assegnato a stranieri, a fronte di una popolazione residente extracomunitaria che rappresenta appena il 16%. Una sproporzione evidente, che alimenta la percezione – e spesso la realtà – di una profonda ingiustizia sociale.

Marrone difende la linea del “prima gli italiani, poi gli stranieri integrati e regolari”, sottolineando come la legge piemontese non sia una novità, ma una prosecuzione della storica legge Bossi-Fini del 2002, che da oltre vent’anni stabilisce il principio di integrazione e regolarità per accedere ai benefici pubblici. “È un criterio di civiltà, ribadisce, non di esclusione. Chi lavora onestamente merita rispetto, chi delinque no.”

Il Comune di Torino, governato dal centrosinistra, ha già annunciato che non applicherà la legge regionale, ritenendola “anticostituzionale”. Ma la Regione non intende arretrare e annuncia di voler portare la questione fino alla Corte Costituzionale, rivendicando il diritto di stabilire regole più stringenti per l’assegnazione delle case popolari.

Intanto, però, gli italiani restano indietro. Mentre le famiglie autoctone, spesso con redditi bassi, disoccupati o anziani soli, aspettano per anni un alloggio che non arriva, le graduatorie si riempiono di nomi stranieri, spesso con situazioni più “aggiornate” o meglio certificate, che permettono loro di scalare le liste.

Non si tratta di razzismo, ma di equità sociale. Le case popolari dovrebbero essere un diritto per chi è in difficoltà, ma oggi sembrano diventate un campo di battaglia ideologico. E in questa guerra tra leggi, ricorsi e burocrazia, chi paga è sempre lo stesso: il cittadino italiano dimenticato.

E allora la domanda resta aperta, scomoda ma necessaria: l’Italia è ancora il Paese dove gli italiani vengono dopo?

 

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