di Alessio Colletti
Il piano di pace recentemente proposto da Trump è stato accolto con favore dalla comunità internazionale, ma diversi punti sollevano non poche perplessità
Il 29 settembre scorso Donald Trump ha ricevuto Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca e ha proposto un piano di pace per tentare di risolvere la drammatica e sanguinosa crisi della Striscia di Gaza.
Articolato in 20 punti, il progetto prevede la fine dei combattimenti a Gaza, la restituzione degli ostaggi detenuti dal 7 ottobre 2023 e il rilascio di centinaia di palestinesi arrestati da Israele. Hamas sarebbe esclusa da qualsiasi forma di controllo della Striscia, ma in cambio beneficerebbe di un’amnistia per tutti i miliziani disposti a rinunciare alla lotta armata. Il piano stabilisce anche il ripristino degli aiuti umanitari sotto la direzione delle agenzie Onu, promette investimenti economici e non contempla l’annessione di Gaza, come era stato precedentemente paventato. L’amministrazione della Striscia verrebbe demandata a un gruppo di tecnici di origine palestinese sottoposto alla regia di un organismo di transizione, denominato Board of Peace, con a capo lo stesso Trump e l’ex premier britannico Tony Blair. Il punto 9 afferma che il controllo di Gaza sarà infine trasferito all’Autorità Nazionale Palestinese, non appena tale istituzione avrà completato il suo ciclo di riforme. Il presidente Usa ha aggiunto che, nel caso in cui Hamas respingesse l’accordo, appoggerà le violente rappresaglie militari di Netanyahu fino al definitivo annientamento del movimento estremista. Da sottolineare che il piano non prevede alcun impegno concreto in favore della creazione di uno stato palestinese e non fa nessuna menzione della Cisgiordania, oggetto delle incessanti incursioni dei coloni israeliani e delle mire espansionistiche dell’ultradestra del Governo Netanyahu.
Hamas ha reagito in modo evasivo all’annuncio di Trump: si è detta disponibile al rilascio degli ostaggi ma ha chiesto nuovi negoziati. Ulteriori colloqui inizieranno oggi lunedì 6 ottobre a Sharm el Sheikh con la partecipazione di mediatori di Qatar, Turchia ed Egitto oltre a rappresentanti statunitensi. Taher al-Nunu, alto funzionario di Hamas, ha già fatto sapere in un’intervista alla Reuters, di ritenere inaccettabile l’inclusione di una figura controversa come quella di Blair all’interno del Board of Peace.
I leader del vecchio continente hanno accolto con favore il piano di Trump e il Presidente del Consiglio europeo Antonio Costa ha invitato tutte le parti a compiere gli sforzi necessari affinché si pervenga alla definizione di un accordo. L’Autorità Nazionale Palestinese ha valutato positivamente l’idea del presidente americano e anche stati musulmani come Egitto, Turchia, Indonesia e Pakistan hanno salutato l’iniziativa del tycoon come un tentativo coraggioso di porre fine alla tragica situazione in cui versa la Strisca ormai da anni. Cina, India e Russia si sono dette favorevoli a supportare gli sforzi per il conseguimento di una pace giusta e duratura. Aspre critiche sono invece giunte dal Ministro delle Finanze israeliano, il fondamentalista Bezalel Smotrich.
Anche se le reazioni internazionali sono state, nel complesso, favorevoli al disegno sostenuto da Trump, non sono mancate importanti voci fuori dal coro. Fra i punti più dibattuti del piano c’è il numero 19 che cita: “Con l’avanzare dello sviluppo di Gaza e la fedele attuazione del programma di riforma dell’Autorità Nazionale Palestinese, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l’autodeterminazione e lo Stato palestinese, che riconosciamo come l’aspirazione del popolo palestinese”.
Autorevoli think tank come il Carnegie Endowment for International peace e l’Arab center Washington DC, che già in passato avevano criticato il presidente americano per il suo sostegno acritico all’amministrazione Netanyahu, richiamano l’attenzione sull’approssimazione con cui viene trattata l’annosa questione dei due stati. La prospettiva per la costituzione di un’entità indipendente palestinese, evocata nel punto 19, sarebbe quindi decisamente vaga e indefinita. Il Consiglio Europeo per le relazioni internazionali e testate giornalistiche come Le Monde giudicano, invece, ambigua e rischiosa l’assenza di riferimenti alla Cisgiordania. Questa mancanza potrebbe alimentare le azioni illegali dei coloni israeliani a danno della popolazione locale, fenomeno che ha già suscitato la preoccupazione e la condanna delle Nazioni Unite.
In attesa degli imminenti negoziati di Sharm el Sheikh, continua l’assedio delle truppe israeliane a Gaza. Il Ministro della salute dei Territori occupati denuncia che il numero dei morti ha ormai superato le 67.000 unità, bilancio ritenuto credibile dall’Onu. Tuttavia non tutte le fonti condividono questi dati. Ad esempio, la famosa rivista britannica The Lancet ha sostenuto che, oltre all’imprecisato e sicuramente elevato numero di feriti, il computo delle vittime sarebbe considerevolmente sottostimato.
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