Dal 2026 il Pronto Intervento delle Forze dell'Ordine sarà a pagamento

Pubblicato il 22 dicembre 2025 alle ore 07:00

di Massimo Gervasi

Proprio così, il soccorso diventa a pagamento: se sbagli, paghi. Se azzardi, paghi. Se affondi… poi si vede.

Dal 2026, quando ti troverai in difficoltà in mare o in montagna, ricordati una cosa fondamentale: non stai chiamando aiuto, stai aprendo una pratica di rimborso.

Secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore, con un emendamento alla legge di Bilancio il Governo ha deciso che le operazioni di soccorso effettuate da Polizia di Stato e Carabinieri non saranno più automaticamente gratuite. Tradotto: se chiedi aiuto, dovrai dimostrare di averne diritto. In caso contrario, arriva il conto.

La norma, riformulata e ora al vaglio della Commissione Bilancio del Senato, estende una stretta già prevista per la Guardia di Finanza. Ma siccome in Italia non si lascia mai nessuno indietro (quando si tratta di far pagare), ecco che anche Polizia e Carabinieri entrano nel listino prezzi del soccorso pubblico.

Il principio è semplice (almeno sulla carta): se la richiesta di soccorso non è “fondata e motivata”, oppure se l’incidente è riconducibile a dolo o colpa grave, il salvataggio non sarà più un diritto, ma un servizio a pagamento.

In pratica: hai sottovalutato il mare mosso? Sei salito in montagna con le scarpe da ginnastica? Hai ignorato allerte meteo, divieti, buon senso e istinto di sopravvivenza?
Complimenti: ora paga!!

Dal welfare al “pay-per-rescue”

Lo Stato ragioniere arriva dove non arriva la prevenzione.

Il messaggio è chiaro: prima di salvarti, lo Stato valuterà se te lo meriti. E magari, mentre il soccorritore cala l’elicottero, qualcuno starà già compilando il modulo per stabilire se eri sufficientemente prudente, sobrio, preparato e psicologicamente idoneo all’avventura. Perché attenzione: non basta più essere in difficoltà. Bisogna dimostrare che non è colpa tua.

Una rivoluzione culturale: dal “ti salvo” al “vediamo se rientri nei parametri”.
O meglio ancora, dal welfare al “pay-per-rescue”. 

Quella che viene presentata come una misura contro gli abusi rischia di aprire una crepa pericolosa: il soccorso selettivo, dove il confine tra responsabilità personale e diritto alla vita diventa sottile, soggettivo, interpretabile.

Chi decide cos’è “colpa grave”? Chi stabilisce se l’errore era evitabile? E soprattutto: quanto costerà sbagliare?

Per ora non si sa. Ma una cosa è certa: la paura di pagare potrebbe far esitare chi ha davvero bisogno di aiuto. E in mare o in montagna, esitare significa morire. Ma dopotutto cosa c'è di strano, siamo in Italia, dove il conto arriva sempre dopo.
Siamo il Paese dove le tasse sono certe e i servizi meno, e ora anche il soccorso ha un tariffario implicito.

Ricapitolando, ricordate tutti bene, dal 2026, prima di lanciare un SOS, conviene fare due conti: batteria del telefono, copertura assicurativa e magari un ripasso del codice civile; perché l’aiuto resta, sì. Ma la gratuità no.

E come sempre, lo Stato arriva puntuale non per prevenire, non per educare, non per proteggere ma per presentare il conto quando sei già a terra, bagnato, ferito o appeso a una corda.

Benvenuti nell’Italia del “ti salvo, ma poi vediamo”.

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