di Massimo Gervasi
L’inflazione rallenta. I prezzi al consumo a novembre scendono dello 0,2% rispetto a ottobre. Su base annua siamo all’1,1%. Lo dice l’Istat.
E allora? Dovremmo applaudire? Stappare lo spumante? Dire che “va tutto bene”?
Perché mentre i tecnici si compiacciono dei decimali, la realtà è un’altra: i consumi sono deboli, fragili, stanchi. Non ripartono. E non per sfiducia astratta, ma per mancanza di soldi veri.
Fino a ieri il problema era l’inflazione. Oggi, improvvisamente, il timore diventa la deflazione. Come se il Paese fosse passato da una febbre alta a una convalescenza felice. Peccato che nel mezzo ci siano famiglie che hanno già tagliato tutto il tagliabile.
Certo, oggi ci raccontano che alcuni prezzi alimentari stanno scendendo: latte, olio d’oliva, frutta fresca. Bene. Ottimo.
Ma rispetto a cosa?
Dal 2019 a oggi: burro +60%, olio d’oliva +53%, riso +52%, olio di semi +43%, patate +40%, zucchero +37%, uova +34%, yogurt +28%, latte fresco +25%, carne bovina +25%, pesce +24% e alimenti per bambini +24%.
E questo sarebbe il “sistema che funziona”? Davvero dobbiamo essere contenti perché dopo una rapina pluriennale, ora qualcuno restituisce qualche centesimo?
I prezzi oggi sono mediamente del 20–30% più alti rispetto al 2019. Punto. Il resto è narrazione.
Il carrello della spesa
Ma fate bene attenzione al trucco del “carrello della spesa”. Gli esperti spiegano che gli alimentari “pesano solo” per il 15,7% della spesa complessiva. "Solo".
Come se mangiare fosse opzionale. Come se lavarsi, pulire casa, nutrire i figli fosse una scelta di lusso. Ma allora perché nel calcolo non entrano affitti reali, bollette, assicurazioni, tassi di interesse, rate del mutuo? Perché un aumento del 10% sull’affitto pesa infinitamente più di un +30% su un pacco di pasta.
Eppure si insiste a raccontarci che il carrello “regge”. Sì, regge. Sulle spalle di chi si è già piegato. Certo che i consumi sono in calo, ma non per virtù, ma per necessità.
Quando i prezzi scendono non è sempre una buona notizia. Qui non siamo davanti a un’industria più efficiente e virtuosa. Siamo davanti a italiani che smettono di comprare: meno verdura fresca, meno patate, meno acquisti.
Non perché improvvisamente siamo diventati sobri, ma perché non arriviamo a fine mese.
È un circolo vizioso: le famiglie stringono la cinghia, l’industria abbassa i prezzi dove può, i consumi restano deboli, la fiducia non riparte.
Altro che “dati magnifici”.
Salari: il grande rimosso
Dal 2021 a oggi: salari +11%, prezzi +19%.
Otto punti percentuali di potere d’acquisto evaporati. E questo si vede, si sente, si vive. Il 53% degli italiani oggi dichiara di essere preoccupato per il caro prezzi. Altro che fiducia ritrovata.
Ma qualcuno ha tenuto conto dei "Beni durevoli"? Auto, mobili, tecnologia. Qui il quadro è ancora più chiaro: si rinvia tutto. Auto nuove si registra un -9% in volumi e per la spesa auto il -10%. Cresce solo l’usato, perché costa meno
Le famiglie non scelgono, ripiegano. E non perché non vogliono spendere, ma perché non possono. La tredicesima è un’illusione stagionale. Si spera nella tredicesima. Sempre. Ogni anno la stessa storia: “Dicembre andrà meglio”.
Ma la tredicesima non è ricchezza nuova, è ossigeno per chi è già in apnea.
E infatti gli stessi osservatori ammettono: nel 2026 non si vede alcuna accelerazione vera dei consumi. Al massimo una crescita modesta. Timida. Insufficiente.
In conclusione, siamo obiettivi e sinceri: smettiamola di raccontarci le favole. Non siamo davanti a un Paese che riparte. Siamo davanti a un Paese che resiste, male, arrancando.
L’inflazione scende? Bene. Ma la vita costa ancora troppo. I salari non tengono il passo. I consumi non decollano. La fiducia resta una parola da studio economico, non una sensazione reale.
I numeri possono anche migliorare. Ma gli italiani continuano a fare la spesa con la paura, non con l’ottimismo. E finché questo non cambia, tutti questi “dati fantastici” restano quello che sono: una favola statistica che non riempie il carrello.
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