Ricchi solo sulla carta: l’Italia dei salari poveri e dei carrelli vuoti

Pubblicato il 8 dicembre 2025 alle ore 07:00

di Massimo Gervasi

I dati Istat certificano ciò che milioni di italiani vivono ogni giorno sulla propria pelle: i salari reali sono ancora sotto di quasi il 9% rispetto al 2021.

Nel 2024 c’è stato un recupero medio del +2,9%, superiore all’inflazione dell’anno. Ma questo non basta a colmare la voragine aperta negli anni precedenti, quando l’inflazione ha superato complessivamente il 20%. In parole semplici: anche se oggi guadagniamo qualche euro in più in busta paga, possiamo permetterci comunque molto meno.

Gli unici ad aver parzialmente ridotto questo gap sono stati i dipendenti pubblici, grazie ai rinnovi contrattuali. Nel settore privato, invece, la perdita di potere d’acquisto resta quasi interamente sulle spalle dei lavoratori. Ed è da qui che parte una vera e propria crisi sociale silenziosa, che si riflette su ogni scelta quotidiana: consumi, risparmi, salute, futuro.

Cosa dicono gli italiani?! "Si compra meno, ma si spende di più"

Anche il commercio al dettaglio conferma questa fotografia. Le vendite crescono leggermente in valore (+0,2%), ma calano in volume (-0,6%): significa che gli italiani comprano meno, ma pagano di più. I beni alimentari segnano lo stesso andamento. E non è un caso se i discount alimentari registrano un +3,5% nei primi dieci mesi dell’anno: sempre più famiglie sono costrette a rivedere al ribasso le proprie abitudini.

Il messaggio è chiaro: il problema non è la voglia di consumare, ma la possibilità di farlo. La domanda interna resta depressa. E questo è un dato drammatico, perché i consumi interni e gli investimenti delle famiglie rappresentano due terzi del PIL italiano. Le esportazioni, da sole, non possono sostenere l’intero sistema.

Non a caso, ancora oggi, i consumi delle famiglie sono inferiori dell’1,4% rispetto al 2007, cioè prima della grande crisi finanziaria. Sono passati quasi vent’anni, ma non ci siamo mai davvero rialzati.

Come fanno tante famiglie italiane a resistere?

Molti osservatori si sono posti una domanda comune: "come fanno tante famiglie italiane a resistere?
La conclusione avuta dopo un breve sondaggio: "Il ceto medio continua drasticamente ad impoverirs, pensioni e precedenti risparmi pertono a nonni e genitori di aiutare i figli

Il Rapporto Censis 2025, dal titolo emblematico “L’Italia nell’età Selvaggia”, entra nel cuore della frattura sociale che stiamo vivendo.

I numeri sono impressionanti: il 43,2% dei pensionati aiuta economicamente figli, nipoti o parenti; il 62% ha già contribuito o contribuirà in futuro a spese importanti dei figli; l’80% degli italiani teme che, in caso di non autosufficienza, non potrà contare su servizi sanitari e assistenziali adeguati.

Nel frattempo, la ricchezza delle famiglie è calata dell’8,5% in termini reali in 15 anni. A perdere di più è stato proprio il ceto medio, quello che storicamente garantiva stabilità sociale al Paese. Non solo stipendi più deboli, ma anche patrimoni che si assottigliano: casa, risparmi, sicurezza.

E mentre si chiede sacrificio a chi lavora, si celebra il calo dello spread come fosse una vittoria assoluta. Certo, il rigore sui conti pubblici ha ridotto il deficit sotto il 3% e ha migliorato il giudizio delle agenzie di rating. Ma questo rigore ha un prezzo: meno risorse per sanità, welfare, investimenti pubblici. È un equilibrio fragile, dove la stabilità finanziaria rischia di essere ottenuta comprimendo il benessere sociale.

Ma il tema non è solo economico. È anche culturale, psicologico, politico. Secondo il Censis: il 30% degli italiani ritiene le autocrazie più adatte di una democrazia liberale ai tempi che viviamo; 4 italiani su 10 sono convinti che le grandi tensioni internazionali si risolveranno con nuovi conflitti armati; 6 su 10 pensano che l’Unione Europea non abbia più un vero ruolo strategico nello scenario globale.

È qui che nasce l’idea dell’“età selvaggia”: un’epoca dominata non più dall’economia come motore della storia, ma da guerre, nazionalismi, protezionismi, paure ancestrali, pulsioni religiose e ideologiche. La globalizzazione come l’abbiamo conosciuta è finita. E il mondo appare sempre più come un campo di battaglia tra predatori e prede.

Dentro questo scenario, il ceto medio vive una doppia compressione: da un lato il reddito che non basta più, dall’altro un mondo percepito come instabile, violento, imprevedibile. Si viaggia in economy, si aspetta il periodo dei saldi, si rinuncia allo sfizio, si diffida del futuro.

Un'Italianche si arrangia

Ma adesso torniamo ai fatti: perché questa Italia si arrangia, ma non protesta?
Eppure, nonostante tutto, l’Italia non esplode. Non si registrano derive violente, né radicalizzazioni estreme come in altri Paesi. Secondo il Censis, gli italiani continuano ad adattarsi, a resistere con creatività e pragmatismo. È l’arte dell’arrangiarsi che tiene insieme il tessuto sociale, mentre il welfare pubblico arretra.

Ma qui sta il vero rischio: una crisi che diventa abitudine, una rassegnazione che spegne il conflitto ma non risolve i problemi. Si stringe la cinghia, si aiuta il figlio, si tira avanti. Ma il sistema resta fragile.

La verità è semplice e scomoda: senza una vera politica sui salari, senza una ricostruzione del potere d’acquisto, senza investimenti seri su sanità, lavoro e welfare, questa “età selvaggia” è destinata a durare. E a pagare saranno sempre gli stessi: lavoratori, pensionati, famiglie, piccoli imprenditori.

L’Italia resiste. Ma resistere non può essere l’unico progetto di futuro.

Aggiungi commento

Commenti

Non ci sono ancora commenti.