di Alessio Colletti
Non solo Gaza e Ucraina, nel mondo sono in corso numerosi conflitti, spesso solo appena accennati dai media
Carta d’identità del Congo- Fra le numerose guerre in atto, una fra le più sanguinose è quella che sta dilaniando il Congo. Anche in questo caso risultano decisivi gli interessi economici ricollegati alle ricchezze del Paese. La Repubblica democratica del Congo è il secondo Paese africano per estensione, con 110 milioni di abitanti e capitale Kinshasa. Come accaduto agli altri stati africani, la storia del Congo è tristemente segnata dalle pagine nere del colonialismo europeo. La conferenza di Berlino degli anni 1884-1885, voluta da Germania e Francia per una migliore ripartizione delle terre coloniali, assegna il Congo al re di Belgio Leopoldo II. Il sovrano riesce a far credere che sarà sua premura amministrare l’immenso territorio affidatogli con spirito caritatevole e filantropico. La realtà è drammaticamente diversa: Leopoldo II considera il Congo un suo possedimento personale, lo depreda dei suoi tesori, impone la schiavitù, ordina spaventosi massacri. L’entità dei crimini è così pesante che si sollevano proteste fra le stesse potenze europee sebbene corrano solo i primi anni del Novecento e la gara all’accaparramento delle materie prime a spese del continente nero sia in piena evoluzione. Oggi, con riferimento a quella vicenda, sono in tanti a parlare apertamente di “genocidio congolese”.
L’indipendenza dal Belgio arriva nel 1960; cinque anni più tardi prende il potere il generale Mobutu conservandolo con la forza fino al 1997. Da questa data inizia una lunga fase di instabilità con conflitti infiniti e violenze ripetute contro la popolazione civile. Consumato da lotte fra clan rivali, coinvolto negli scontri Hutu-Tutsi, oggetto delle sfrenate ambizioni delle potenze internazionali, il Congo vive ancora oggi nel caos con la guerra civile fra le forze armate del Governo centrale e il gruppo ribelle denominato M23.
Le cause del conflitto
Le immense ricchezze minerarie del Paese africano, paradossalmente, rappresentano anche i motivi del suo triste destino. Si pensi ad esempio al coltan, minerale di altissimo valore presente in poche zone del mondo e concentrato soprattutto in Congo, da cui si estrae il tantalio, materiale fondamentale e ad oggi insostituibile per la produzione dei moderni dispositivi elettronici. I ricchissimi giacimenti di coltan, ma non solo, sono la causa principale della guerra civile. Il coltan si trova soprattutto nelle regioni orientali del Congo, dove non a caso si verificano gli scontri fra le truppe di Kinshasa e quelle ribelli. Rapporti delle Nazioni Unite indicano che dietro il gruppo M23 vi sia il sostegno finanziario dei Paesi confinanti, fra tutti il Ruanda. Ruanda che trae profitto dalla vendita dei minerali estratti dalle miniere congolesi. Diversi attivisti sono convinti che dietro il Ruanda vi siano poteri ben più grandi ma è difficile stabilire la fondatezza di queste accuse.
Non solo il Ruanda
E’ cosa certa che nel febbraio 2024 Unione Europea e Ruanda hanno sottoscritto un accordo commerciale con cui i Paesi europei si assicurano approvvigionamenti di dubbia provenienza, incluso minerali che in buona parte provengono quasi sicuramente dai territori congolesi. Molte nubi si addensano anche intorno ai giganti tecnologici americani che acquistano minerali estratti dalle zone di guerra per fabbricare gli apparecchi che tutti noi utilizziamo. Diversi analisti, fra cui Siddhart Kara, firma di punta del New York Times e finalista del prestigiosissimo premio Pulitzer, è convinto che le multinazionali del suo Paese omettano di garantire la tracciabilità delle loro catene di approvvigionamento per acquisire a buon mercato materiali ricavati da lavoratori, spesso bambini, costretti a operare contro ogni principio legale e morale. Quanto alla Cina, il colosso asiatico arma sia il Ruanda che la Repubblica Democratica del Congo e controlla buona parte della produzione mineraria dello stato africano. Un legame quello fra Cina e Congo che si è collaudato con il tempo, anche se ultimamente il presidente Tshisekedi ha dato l’impressione di volersi riavvicinare a Washington a cui avrebbe offerto l’accesso ai giacimenti minerari in cambio di assistenza militare contro i ribelli. Infine, la situazione è resa ancora più problematica dalle contrapposizioni etniche. Il gruppo M23 è composto in larga parte da Tutsi e sostiene di operare in difesa delle stesse minoranze Tutsi che appena qualche decennio fa furono oggetto di uno spietato sterminio.
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