di Alessio Colletti
La liberazione di Marwan Barghouti, leader storico di Fatah, non è inclusa negli accordi di Sharm el Sheikh
Gli accordi di pace fra Israele e Hamas promossi dal presidente americano Donald Trump hanno portato alla fine dei combattimenti a Gaza e al rilascio degli ostaggi rapiti il 7 ottobre 2023. Tel Aviv ha liberato quasi 2000 palestinesi, fra cui diversi prigionieri di lungo corso ma fra questi non compare il nome di Marwan Barghouti. Indicato come il vero successore di Yasser Arafat, e detenuto da Israele dal 2002, Barghouti è una figura centrale della resistenza palestinese.
Chi è Marwan Barghouti
Marwan Barghouti è nato nel 1959 a pochi chilometri da Ramallah, in Cisgiordania. Nel 1975 ha iniziato la sua militanza all’interno di Al-Fatah, il gruppo di orientamento laico fondato per la costituzione di uno stato palestinese. Durante i suoi studi universitari ha incontrato, e in seguito sposato, Fadwa Ibrahim, avvocato e importante voce della causa palestinese. Imprigionato a più riprese, Barghouti è stato definitivamente arrestato nel 2002 per il suo coinvolgimento negli eventi della Seconda Intifada e condannato a cinque ergastoli. Diverse organizzazioni internazionali, come “Human Rights Watch” e il “Comitato Internazionale della Croce Rossa” hanno messo in dubbio la legittimità del suo processo.
Il pensiero politico
Barghouti ha sempre respinto le accuse costategli l’imprigionamento a vita. Pur supportando la resistenza armata contro l’occupazione israeliana, ha ripetutamente preso le distanze dagli attacchi contro i civili e dagli attentati perpetrati all’interno dello stato ebraico. In dichiarazioni rese ai media “Democracy Now!” e “Washington Post”, prima del suo arresto del 2002, Barghouti ha approvato la lotta contro i coloni in Cisgiordania ma ha condannato gli attentati di Hamas dentro Israele. Nel 2006 dal carcere di Negev ha ribadito: “In nessun caso si può giustificare l’uccisione di civili, bambini e donne, in ogni parte del mondo. Questo dovrebbe essere chiaro, tanto in Palestina, quanto in Israele”. Fautore della soluzione “due stati per due popoli” e della piena inclusione sociale di donne e minoranze religiose, il leader di Fatah non ha lesinato critiche all’Autorità Nazionale Palestinese, per via della corruzione dilagante all’interno dell’organizzazione. Proprio il degrado morale e l’incapacità dell’Anp di dare risposte concrete ai bisogni dei propri cittadini sono stati fra i fattori più determinanti nell’ascesa di Hamas.
La liberazione di Barghouti non conviene a nessuno, ad eccezione del popolo palestinese
La ragione più plausibile per cui Israele si rifiuta di liberare Barghouti è legata alla sua potente eredità politica. Barghouti è un personaggio di primissimo piano, amatissimo dalla sua gente, capace di ottenere consensi trasversali in tutta la società palestinese e molto considerato anche a livello internazionale. In passato l’ex presidente americano Jimmy Carter e l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu si esposero in prima persona per la sua scarcerazione. Posizioni di segno simile sono state assunte da rappresentanti del mondo politico israeliano come Ami Ayalon, ex capo del servizio di intelligence dello Shin Bet e Ehud Barak, ex primo ministro. Pur condannando il concorso del militante palestinese ai fatti della Seconda Intifada, entrambi hanno riconosciuto che la sua liberazione realizzerebbe un passo cruciale per la ricostruzione di una leadership palestinese credibile.
Per il “The Economist”, Barghouti si può considerare come il detenuto più importante al mondo. Il “Centro palestinese per la ricerca politica”, in un sondaggio risalente allo scorso maggio, ha rivelato che Barghouti è largamente il leader più amato e apprezzato tanto a Gaza quanto in Cisgiordania. Recentissimi articoli del “Washington Post” e del “Times of Israel” descrivono la riluttanza e la preoccupazione con cui il governo Netanyahu sta affrontando il caso: un’eventuale scarcerazione rischia di consolidare il consenso popolare di cui già gode Barghouti e di ricompattare l’intero fronte palestinese. Un pericolo da scongiurare per chi da sempre si oppone alla soluzione dei due stati. Da segnalare anche un altro aspetto, poco evidenziato ma sicuramente non meno rilevante. Stando alle cronache dei negoziati di Sharm el Sheikh, sarebbe stata Hamas a richiedere e a insistere per la scarcerazione dell’esponente di Fatah. Eppure non si può escludere che la realtà sia differente dalla narrazione ufficiale. Pubblicamente Hamas chiede la libertà per Barghouti, ma potrebbe trattarsi di un’operazione di facciata o poco più. Il ritorno in carica di una figura tanto popolare e celebrata creerebbe problemi non indifferenti al governo Netanyahu perché riaccenderebbe la speranza e l’entusiasmo del popolo palestinese ma rischierebbe di eclissare anche la stessa Hamas, la cui leadership è già in discussione a Gaza e non solo.
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